La tecnologia costituisce ormai un fattore integrante della vita quotidiana lavorativa ed extralavorativa: tv e radio come strumenti di ascolto passivo, sono stati soppiantati (o accompagnati) da strumenti interattivi come PC e telefoni cellulari multifunzione che hanno stimolato nuove modalità comunicative. A riguardo, Corradini e Tiberti (2008) sottolineano come nel corso della storia, ogni qualvolta l’uomo si è trovato di fronte ad un sistema tecnologico sconosciuto, si è condivisa l’espressione secondo cui “una nuova tecnologia non aggiunge e non sottrae nulla: cambia tutto”.
E’ evidente come, oltre a costituire un insostituibile strumento operativo, la tecnologia influenzi anche il modo di comunicare e di apprendere: oggi è infatti possibile aggiornare il proprio know-how grazie alle tecnologie informatiche. In questo modo la tecnologia finisce con il ricoprire un ruolo fondamentale anche nel processo di riqualificazione professionale, promuovendo sistemi formativi sempre più innovativi quali, per esempio, i corsi in e-learning. Lo sviluppo tecnologico ha inoltre favorito la nascita di nuove figure professionali, oltre che di nuovi linguaggi. Si pensi poi a come la comunicazione tecnologica influenzi anche le modalità di socializzazione e di relazione interpersonale (sms, e-mail, chat…).
Se è vero che la tecnologia cambia tutto, è altrettanto verosimile pensare che essa comporti mutamenti culturali e di abitudini tali da rappresentare potenziali fattori stressanti. Con il termine “Tecnostress” si fa riferimento ad un disturbo causato dall’uso scorretto ed eccessivo di tecnologie dell’informazione ed apparecchi informatici e digitali. Lo psicologo Craig Broad fu il primo, nel 1984, ad utilizzare questo concetto per indicare lo stress indotto dall’uso delle nuove tecnologie, specie informatiche; egli definì il Tecnostress come “un disagio moderno causato dall’incapacità di coabitare con le nuove tecnologie del computer”. Successivamente il termine fu ampliato dagli psicologi Weil e Rosen, i quali lo definirono come “ogni impatto o attitudine negativa, pensieri, comportamenti o disagi fisici o psicologici causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia” (1998).
Lavorare in un contesto multitasking dove nello stesso istante ci troviamo ad avere a che fare con differenti strumenti di lavoro ( smartphone, tablet, computer, telefono d'ufficio) che al loro interno hanno a loro volta differenti “applicazioni” da un lato ha creato molti vantaggi ma dall'altro potrebbe portare a conseguenze nocive per la salute del lavoratore che si trova, in momenti di “crisi”, oberato di comunicazioni e con la percezione di non essere in grado di gestire i compiti che gli sono assegnati.
L’evoluzione tecnologica ormai inarrestabile, quindi, se per certi versi ha favorito nuovi ed efficienti modelli di organizzazione del lavoro, per altri sta mettendo in luce modelli comportamentali sempre più caratterizzati da livelli di stress originati dalla necessità di adattarsi ai continui e rapidi processi tecnologici.
Questa “nuova” forma di stress sembrerebbe colpire, nella maggior parte dei casi, coloro che lavorano in ambienti altamente informatizzati e caratterizzati da una forte riduzione o addirittura privazione delle relazioni personali nonché da un controllo esasperato della tecnologia sulle attività svolte.
Risulta evidente come il corretto utilizzo delle apparecchiature informatiche richieda pazienza, abilità e aggiornamento continuo: a fronte di queste richieste, un utente inesperto potrebbe, a lungo andare, ravvisare nello strumento tecnologico un ulteriore fattore di stress. In un certo senso, si può dire che la personalizzazione della relazione tra essere umano e mezzo rappresenta la caratteristica del Tecnostress. Sembra peraltro accertato che i ritmi rapidi derivanti dall’impiego di apparecchiature tecnologiche indicano le persone ad esigere, anche in ambito privato, le stesse velocità di risposta dei computer che utilizzano sul posto di lavoro.
I sintomi del Tecnostress possono diventare anche gravi e sono dovuti per lo più a incapacità gestionali (anche di se stessi): nelle prime fasi si possono provare difficoltà di concentrazione e affaticamento mentale, cause delle prime tensioni a livello muscolare e del maggiore sforzo che ci occorre per poter svolgere le usuali routine che prima non ci impegnavano. Queste condizioni ci fanno provare un intenso senso di frustrazione (ad esempio, rileggere più volte una mail o alcune sue parti prima di riuscire ad immagazzinare le informazioni contenute in essa provando fastidio o rabbia).
I sintomi sono svariati: dal mal di testa all’ansia, dall’ipertensione agli attacchi di panico, dal calo della concentrazione alla depressione, dal calo del desiderio sessuale ai disturbi gastrointestinali e cardiocircolatori, per non parlare dell’isolamento relazionale e delle alterazioni comportamentali. Controllare ossessivamente le e-mail ogni 2 minuti, stare sui social network tutto il giorno, camminare per strada con gli occhi incollati allo smartphone e altre manifestazioni comportamentali, possono indicare la tendenza ad un uso compulsivo della tecnologia.
La difficoltà è capire che il malessere è collegato alle troppe ore passate davanti allo schermo: che sia in ufficio, a casa, o in mobilità. E’ importante quindi non sottovalutare questi primi sintomi perché, se non riconosciuti o se trascurati, può risultare probabile un loro aggravarsi in vere e proprie patologie quali improvvisi eccessi di rabbia, burnout, sensi d’ansia generalizzata, ma anche ben più gravi condizioni quali attacchi di panico e depressione, ovvero patologie in grado di minare la vita della persona nel suo complesso.
In sostanza, il Tecnostress può comportare effetti negativi su diversi livelli:
- Soggettivo: sentimenti di ansia, rabbia, apatia, noia, depressione, stanchezza, frustrazione, senso di colpa, irritabilità, tristezza e solitudine, depressione, attacchi di panico, euforia.
- Comportamentale: eccessiva assunzione di alcol e droghe, eccitabilità, irrequietezza, difficoltà di parola, attacchi di rabbia, calo del desiderio, alterazioni comportamentali, insofferenza verso membri della famiglia, aggressività.
- Cognitivo: difficoltà nello svolgimento dei compiti e nel prendere decisioni, con un generale calo dell’attenzione, una diminuzione della concentrazione, una sostanziale riduzione e perdita dell’efficacia, maggior difficoltà a lavorare in team, lievi amnesie e “assenze a singhiozzo”.
- Fisiologico: ipertensione, disturbi cardiocircolatori, emicrania, sudorazione, secchezza della bocca, difficoltà di respirazione, vertigini, mal di testa, formicolio degli arti, mal di schiena e al torace, disturbi del sonno, stanchezza cronica, affaticamento mentale.
- Organizzativo: assenteismo, scarsa produttività, perdita di produttività, alto tasso di incidenti, antagonismo sul posto di lavoro, avvicendamento del personale, insoddisfazione, ritardo e malfunzionamento nei processi produttivi, organizzativi e gestionali, aumento del rischio per la salute e la sicurezza delle imprese, costi sociali e medici.
In relazione alla salute del lavoratore, all’art. 28 del Decreto Legislativo 81/08 si pone l’accento, come noto, sull’obbligo di valutazione in relazione a “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato”. Come valutare, quindi, il rischio Tecnostress? Ad oggi non sono disponibili linee guida e/o strumenti per effettuare tale valutazione o comunque si adottano metodologie che permettono di approcciare il Tecnostress solamente in modo indiretto. La mancanza di un "metodo", però, non può esimere il Datore di lavoro dal prendere in considerazione questo rischio sempre più diffuso.
Per concludere, il modo migliore per intervenire è attuare un’opera di prevenzione del fenomeno Tecnostress e delle manifestazioni ad esso correlate. Le aziende e i loro collaboratori potrebbero intervenire, per esempio, con pratiche quali la meditazione, l’attività fisica, le pause rigeneranti e le discipline olistiche in genere (come ad esempio la respirazione yoga o le tecniche di rilassamento come il training autogeno) che rallentano i nostri pensieri e “calmano e rinfrescano” il nostro cervello. Fondamentale è inoltre una formazione che porti ad una maggiore consapevolezza rispetto al corretto rapporto fra la persona e le nuove tecnologie.
A cura di Massimo Servadio
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
Fonte Punto Sicuro